La definizione di “trigger point” è stata coniata nel 1943 dalla dottoressa Janet Travell, la quale ha identificato con questo termine le masse o i noduli dolorosi percepiti all’interno di un muscolo in tensione.
Si può pensare al trigger point come ad un piccolo nodulo su una o più fibre muscolari (percepibile dall’esterno mediante la palpazione) che se stimolato evoca sia un dolore sul punto, sia un dolore in una zona del corpo più distante (attenzione: si parla di “dolore dislocato” quando si fa riferimento ai trigger points, di “dolore riferito” quando si indicano dolori di origine viscerale e si parla di “dolore irradiato” solo ed esclusivamente quando tale dolore ha a che vedere con lesioni o problematiche a livello del sistema nervoso).
Un lavoro di pressione o di massaggio sui trigger points permette di sciogliere la muscolatura circostante e di ridurre o far scomparire del tutto i dolori dislocati provocati da essi.
Nel corso degli anni, i medici occidentali si sono concentrati sullo studio degli agopunti per cercare di fornire una spiegazione anatomica ed istologica di alcuni dei loro effetti, e nella seconda metà degli anni ‘70 Melzack ed i suoi collaboratori hanno scoperto che più del 70% di tutti i punti di agopuntura corrisponde ai cosiddetti trigger points (Melzack et al., 1977).
Da questa scoperta si può chiaramente evincere quanto possa essere importante il lavoro di digitopressione sui canali e sui punti di agopuntura e, ancora una volta, quanto oriente ed occidente siano in realtà molto più vicini di quanto non si pensi.
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